#07 Sabarimala. Andare da Dio in India
È una collina, con un tempio fra i più venerati dell’India. In queste pagine il diario in immagini e parole di una delle più affascinanti, concentrate e affollate avventure che mi siano capitate: trovarsi con un milione di persone in uno sperduto luogo nella foresta monsonica del Kerala arrivandoci a piedi per 60 Km.
Nel dicembre del 1986, durante il mio primo viaggio in India, avevo visto girare in Tamil Nadu autobus più fioriti del solito, carovane di automobili e persino gruppi a piedi. Tutti vestiti uguali, a piedi nudi, con un lungi nero, un taglio di tessuto non cucito di circa un metro e venti per due avvolto intorno alla vita a cadere come una gonna, una collana lunga fino all'ombelico e, per bagaglio, un telo chiuso annodandone i lembi, comodo da portare in testa. Allora non sapevo chi fossero, ma andavano in un luogo preciso: a Sabarimala.
Un pellegrinaggio.
I testi sono estratti dal diario dei tre giorni del pellegrinaggio
(…) Abbiamo viaggiato con il nostro ego in testa, forse un tempo una parte era il cibo da utilizzare durante il pellegrinaggio. Ora è ritualizzato e viene santificato. Proprio io ho gettato i doni principali. Potevano essere incensi, orologi, soldi, gioielli: si dà per liberarsi. La fine del rito è guru swami che ridistribuisce mescolato ciò che era singolarmente nostro. Anche il ghee. Da ieri sera non abbiamo più nulla sulla testa, abbiamo rotto cocchi-ego per strada, e ora, qui, aperti i cocchi che avevamo sigillato nella cerimonia iniziale, il ghee dei singoli viene mescolato e ridistribuito da utilizzare come unguento, come medicina, ben chiuso in un vasetto di acciaio inox che mettiamo con le nostre cose nella borsa e ce ne andiamo.
Tornare è diverso. Scendere è sempre peggio, come in montagna. Inoltre stai tornando dopo essere stato.